something tied to weakness, fragility, and
submission.
Because of that, I rejected it for many years.
I wanted to be treated as an equal, to exist
without the weight of difference.
I didn’t want the world to see me differently
from my male friends, from my brother.
As I grew older, I worked hard to make peace
with this part of myself.
I learned to connect with kwho I am -
inside and out.
I poured so much energy learning to feel at
home in my own body, to reconnect with my
femininity.
And yet, deep down, I still struggle to accept
having a body, to be a body.
I want toeep questioning the certainties I’ve
built, the ways I’ve learned to see myself.
With this act - which, to me, is an act of
love - I want to challenge everything that has
come before.
IL MIO CORPO NON MI GUARDA
Lacan, l’immagine speculare tra alienazione e desiderio
Ho ricordi molto vividi della fascinazione che provavo da bambina per il mio riflesso nello specchio. Ricordo le ore passate ad osservare il mio viso e ad interrogarmi sulla mia identità, sul dualismo tra l’essere un corpo e l’avere un corpo.
Non posso dire di ricordare la prima volta in cui mi riconobbi nella mia immagine speculare, ma sono sicura che abbia avuto un grande impatto nella costruzione del mio pensiero, della mia identità e di tutte le dinamiche relazionali che mi hanno legata a me stessa e agli altri nel corso della vita.
Jacques Lacan afferma che l’Io del bambino si costituisce quando è ancora in uno stato primitivo, senza interesse per il mondo – che chiama “ordine immaginario” - una fase in cui il bambino investe tutti gli oggetti che corrispondono al suo desiderio, in quanto crede di essere l’unico soggetto al mondo; non è ancora avvenuta la distinzione con l’Altro dentro di lui.
Successivamente, inizia un processo di alienazione ed estraneazione da sé, che Lacan chiama stadio dello specchio. Egli descrive il momento in cui il bambino (tra i 6 e i 18 mesi) si riconosce per la prima volta nella propria immagine riflessa come un momento fondante per la formazione dell’Io.
Non come una semplice riflessione passiva, ma come un momento che ha potere morfogenetico.
Esso si vede “intero” e questo evento genera una gioia narcisistica, poiché è la prima volta in cui si percepisce come unità, totalità integra (questo è ciò che Lacan definisce Io ideale – ideal-Ich), a fronte invece della sua esperienza corporea segmentata. Quell’immagine, però, non corrisponde allo stato effettivo del soggetto che si trova ancora in una condizione di dipendenza e frammentazione, ma corrisponde a ciò che il soggetto vorrebbe essere: coeso, autonomo e padrone del proprio corpo.
Questo momento inaugura una frattura, una distanza: l’immagine che egli vede è in realtà esterna e idealizzata, e qui si introduce l’illusione fondamentale, quella che l’immagine esterna coincida con l’Io.
“Il soggetto assume un’immagine, quella del suo corpo riflesso, come fondamento del proprio Io.
Ma quest’immagine è altro da sé, è il luogo di una fondamentale alienazione.”
— J. Lacan, Scritti, 1974
L’Io, quindi, nasce già alienato, proiettato verso la sua immagine esterna con cui continuerà per sempre a cercare di identificarsi, ma che non coinciderà mai con il suo essere. La soggettività umana si costruisce quindi sullo scarto tra ciò che siamo e ciò che vediamo: lo scarto che crea la continua tensione tra il corpo vissuto e il corpo rappresentato, tra essere e avere un corpo.
La sensazione di distanza tra il mio corpo vissuto e l’immagine di esso mi accompagna da tutta la vita. To the girl I was nasce dal desiderio di rompere con un’immagine di me che non mi apparteneva più, e dalla lunga riflessione sul rapporto con il mio corpo e con l’immagine che ho costruito nel tempo. Questo lavoro è stato un tentativo di sottrarmi, simbolicamente, all’immagine idealizzata e distorta, all’Io riflesso e all’Io ideale: rimuovendo un elemento simbolico del mio corpo – i capelli, carichi di sottotesti e significati culturali e identitari – ho cercato di mettere in crisi l’unità visiva e simbolica che lo specchio crea. Ho rinunciato consapevolmente ad un elemento della mia immagine idealizzata, per tornare ad un corpo meno codificato, per sottrarmi allo sguardo dell’Altro.
L’atto di rasatura ha un elemento rituale: è il mio tentativo di separarmi dalla persona che ero, quella che ha sempre cercato di corrispondere all’immagine speculare; è un atto di annientamento e rinascita dell’immagine, ciò che Lacan descrive come necessaria frattura tra l’Io e la sua rappresentazione.
Egli direbbe forse che la me bambina stava cercando di corrispondere al suo Io ideale, ma che quell’Io era, in realtà, già alienato. Lo specchio in cui mi riflettevo non era fisico, ma sociale: mi vedevo attraverso l’immagine che gli altri proiettavano su di me, lo sguardo dell’Altro.
Lacan sostiene che ciò che tutti noi desideriamo è essere riconosciuti, desiderati. Ma l’Altro - che sia la società, lo specchio o un genitore – ci rimanderà sempre ad un’immagine che non è mai del tutto nostra.
Il desiderio del soggetto implica la presenza di un Altro e trova oggetto nell’Altro, non perché egli possiede l’oggetto desiderato, ma perché il suo primo scopo è di essere riconosciuto dall’Altro.
“Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro.”
— J. Lacan, Il seminario. Libro XI
Questo “Altro” sono in primis le figure genitoriali, e poi il linguaggio e le strutture culturali.
“Il linguaggio struttura l’uomo rendendolo umano, in quanto una delle proprie caratteristiche che
lo distinguono dall’animale.”
— J. Lacan, Scritti
Lo specchio diventa una metafora dello sguardo collettivo e sociale che ci precede e ci forma; Lacan, infatti, parla di ordine simbolico per descrivere questa rete di codici e significati che ci precede, in cui siamo immersi prima di poterci nominare da soli.
L’identità non è un elemento che possediamo e possiamo decidere, ma è un qualcosa di costituito e costruito attraverso gli altri, imposto.
“Il soggetto si costituisce nell’ordine simbolico, che lo precede, lo nomina, e lo aliena.”
— Jacques Lacan, Scritti, 1974
Non siamo mai interi, ma possiamo tentare di trovare dei modi per vivere le mancanze come possibilità. In fondo il linguaggio stesso – pur essendo una forma di alienazione – è lo strumento che ci permette di interrogarci e interrogare il desiderio, in parte forse liberandocene.
Lo specchio è stato per Lacan il luogo della nascita dell’Io, così come la mia performance è stata per me un tentativo di mettere in crisi proprio quell’Io, per provare a prendere conoscenza della sua genesi, dei suoi limiti, e tentare di riconnettermi con un corpo vissuto. Ed è anche un invito a me stessa, presente e passata, a convivere con la frammentazione e con il desiderio che ci attraversa e ci costituisce.
To the girl i was per me non è stato solo un atto performativo, ma linguistico e psichico: una domanda rivolta a me stessa e nello stesso tempo all’Altro che mi ha guardata – e continua a farlo– da sempre.Bibliografia:
• Lacan, J. (1974). Scritti. Torino: Einaudi.
• Lacan, J. (1983). Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi
(1964). Torino: Einaudi.